giovedì 15 marzo 2012


Il mio giardino a metà maggio

Sono io che mi occupo del giardino e, credetemi, è un lavoro davvero faticoso. Anzitutto bisogna sradicare le erbacce che crescono intorno alle piante e smuovere la terra alla loro base, poi bisogna radere l'erba su tutta la superficie del giardino , infine bisogna mettere del concime ad ogni pianta perchè è essenziale alla loro salute e bellezza. C'è davvero un bel po' da fare, ma almeno finora, lo faccio volentieri. Io porto nel sangue l'amore per la terra e per le piante, forse me l'ha trasmesso mio nonno che sapeva tutto di giardinaggio. A volte accarezzo i fiori, le foglie e il tronco come se mi potessero sentire e così trasmetto loro tutto il mio amore.




Indietro nel tempo


Com'era diversa la mia vita da ragazza, vivevo in un guscio dorato finché un vortice impetuoso le ha cambiato drasticamente direzione e l’ha trasformata in pura sopravvivenza.

Di quei tempi il mio paese era piccolo e aveva una piacevole atmosfera bucolica: le case erano circondate dai campi e, in primavera, da distese fiammeggianti di papaveri; per le strade al posto delle auto circolavano le carrette trainate dai cavalli.

Noi bambini avevamo molto spazio per divertirci e un numero infinito di angoletti nascosti per giocare. La mia casa aveva due giardini molto grandi dove crescevano a profusione le mammole. Ricordo che, appena il rigore dell’inverno lasciava spazio all’aria tiepida e pregna di profumi della primavera, noi attendevamo il germoglio di questi fiori per farne grandi mazzetti con i quali profumavamo la casa.

Come si schiudeva bella e ricca di promesse la vita allora! Dove sono andati a finire tutti quei sogni? Ah, se potessi ritornare indietro nel tempo!

In paese tutti conoscevano la mia famiglia che era tra le più stimate e rispettate della zona. Mio nonno era proprietario terriero e dava lavoro a diversi coloni: la nostra casa era sempre piena di frutta, verdura, pane fresco, biscotti e dolci fatti in casa.

Mio padre, medico di famiglia, aveva un gran numero di pazienti che lo tenevano occupato quasi tutta la giornata e , a volte, anche la notte. Tutti lo stimavano e lo rispettavano quasi ai limiti della venerazione. Io mi sentivo una regina, ovunque andavo la gente mi riconosceva e mi diceva: “tu sei la figlia del dottore” serbando per me un rispetto che rasentava il servilismo. Così sono cresciuta con l’illusione di essere importante e che gli altri si dovessero sentire onorati della mia presenza.

Ma poi, col passare degli anni,tutto è cambiato: il piccolo paese si è trasformato in un caotico sobborgo di Napoli, sono usciti tanti medici, mio padre è invecchiato e infine mi sono sposata e mi sono trasferita in Abruzzo . Lì ho trovato un ambiente chiuso, quasi glaciale, per cui mi è risultato molto difficile ambientarmi. Allora è iniziata la fase più triste della mia vita, allietata solo dalla presenza delle mie bimbe il cui benessere occupava tutti i miei pensieri.

In quei posti di montagna ho sofferto terribilmente perché mi sono sentita emarginata, io che invece ero abituata ad una grande considerazione da parte di tutti. Ho sentito crollare improvvisamente tutto il mio mondo con la convinzione che la parte migliore della mia vita fosse irrimediabilmente finita. Tuttora vedo la mia vera vita proiettata solo nel passato anche se sono legatissima alle mie figlie.

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